Nel nano secondo in cui l’Ottovolante è transitato dalle parti del
Quirinale, il Renzi è stato chiaro, lapidario. D’ora in poi, una riforma
al mese. Nell’ordine: legge elettorale, a febbraio. Lavoro a marzo.
Pubblica amministrazione in aprile. Fisco a maggio. E’ risalito sul
convoglio e prima di riprendere il volo verso l’orbita siderale ha fatto
in tempo ad aggiungere quella che sta diventando ormai la sua frase di
rito, quella che chiude tutti i suoi discorsi indipendentemente
dall’argomento che toccano: “O si fa così, o si va tutti a casa”.
In questo preciso momento l’Ottovolante non si sa dove sia, ma lo si
dà per fermo da qualche parte in attesa che salgano a bordo ministri e
sottosegretari. La sosta durerebbe, a quanto si dice, una settimana e
già i conti non tornano. Il tempo di riaccendere i motori, planare sulle
Camere per il giuramento e siamo a fine mese. Vorrà dire che a marzo
anziché una avremo ben due riforme, così si potrà cominciare subito con
un record. E i ministri, i sottosegretari, quanti saranno? Per adesso lo
scoglio è sui nomi, dato che tutti quelli che sono andati in questi
anni alla Leopoldina a dire come rivoltare l’Italia, al momento di
poterlo fare si sono affrettati a dirgli di no. Sul numero si tace, ma
noi siamo sicuri che il Renzi è uomo di parola, come ha dimostrato con
quel “stai sereno Enrico” due giorni prima di affidarlo del tutto alle
sue pratiche zen dalle parti del Testaccio.
La sua parola il Renzi l’ha data nel pubblico dibattito televisivo
dei candidati alle primarie e quella adesso ci attendiamo: “Se ci sarà
un governo da me presieduto avrà solo dieci ministri e dieci
sottosegretari, non uno di più, metà donne e metà uomini”. I numeri, del
resto, parlano sempre da soli e parlano una lingua sola, tranne quello
più misterioso di tutti, lo zero. E i numeri ci dicono che governare
quattro anni al ritmo di una riforma al mese equivale a realizzare in
Italia, entro la legislatura, quarantotto riforme. Quarantaquattro se
teniamo fuori dal calcolo il mese d’agosto, ma questo particolare non è
ancora chiaro. Nessuno più di noi prende sul serio le cose che dice il
nuovo premier e proprio per questo vorremmo chiedergli l’elenco
completo, così da poter decidere con cognizione di causa come votare tra
una settimanella alle Camere. Dovrebbe essere quella, infatti, stando
al ritmo extracircadiano impresso dal Renzi alla politica italiana,
l’ultima occasione che il Parlamento avrà a disposizione per dibattere.
Una riforma al mese è materialmente possibile a una sola condizione:
che tutto si faccia per decreto, cioè con i tempi per il dibattito
parlamentare uguale a zero, al misterioso zero. La cosa funzionerebbe in
pratica così: Renzi e i suoi ministri presentano all’inizio del mese la
riforma di turno, dieci giorni dopo i parlamentari senza averla
discussa l’approvano, verso il venti del mese il presidente della
Repubblica firma il decreto, entro l’ultimo venerdì il testo è già in
Gazzetta Ufficiale. Altro mese, altro giro. Diciamo allora la verità:
“riforma” è parola che sta diventando stucchevole, comincia a dar
fastidio a sentirla solo pronunciare. A farlo ogni sacrosanto giorno,
negli ultimi anni, sono stati tra gli altri Berlusconi, Tremonti,
Sacconi, Brunetta, Alfano, Monti e Fornero. I risultati sono noti.
Renzi, se vuole essere per l’Italia la speranza che evoca, usi questa
parola insieme ad altre due: intellettuale e morale.
Il paese ha bisogno di una grande riforma intellettuale e morale,
punto. Non gli si chiede di rivisitare Gramsci, con tutto quel che ha da
fare in questi giorni. Gli si chiede di non girare a vuoto con
l’Ottovolante in orbita siderale, di individuare un luogo adatto della
penisola su cui atterrare e di andare incontro al dolore del proprio
paese e al suo bisogno di futuro senza doverlo inondare ogni momento di
effetti annuncio. La prima, vera riforma, comincia qui.
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